Lotta o declino by Noam Chomsky

Lotta o declino by Noam Chomsky

autore:Noam Chomsky [Chomsky, Noam]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-3331-708-3
editore: Adriano Salani Editore S.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol
pubblicato: 2021-04-06T16:00:00+00:00


Noam Chomsky

Sulla libertà di stampa in un mondo libero

È celebre l’affermazione di Mark Twain che «grazie alla bontà di Dio, nel nostro paese abbiamo tre cose preziose oltre ogni dire: la libertà di parola, la libertà di coscienza e la prudenza di non mettere mai in pratica nessuna delle due».

Nella sua prefazione, allora inedita, alla Fattoria degli animali, dedicata alla «censura letteraria» nella libera Inghilterra, George Orwell dava ragione di quella prudenza di cui parlava Twain: esiste, scriveva, un «tacito accordo generale per cui ‘non sta bene’ menzionare quel particolare fatto». Il tacito accordo impone una «censura occulta», fondata su una «ortodossia, un complesso di idee che si presume debbano essere accettate senza obiezioni dalle persone di giudizio», e «chiunque osa sfidare l’ortodossia dominante viene ridotto al silenzio con sorprendente efficacia», anche senza bisogno di una «messa al bando ufficiale».

Assistiamo di continuo a questo esercizio di prudenza nelle società libere. Prendiamo l’invasione angloamericana dell’Iraq, un caso da manuale di aggressione senza una scusa credibile – il «supremo crimine internazionale», com’era stato definito questo tipo di azione dal Tribunale di Norimberga. È legittimo dire che fu una «guerra stupida», un «errore strategico» o addirittura «il più grosso errore strategico nella storia recente della politica estera americana», per dirla con le parole del presidente Obama, tanto apprezzate dalla stampa liberal.

Ma «non sta bene» dire che cosa sia stata realmente quella guerra, ossia il crimine del secolo, per quanto nessuno esiterebbe a usare siffatte parole se a compiere quel crimine, o anche uno di minore entità, fosse stato qualche nemico ufficiale. Non è facile conciliare l’ortodossia dominante con le parole di una figura come il generale/presidente Ulysses S. Grant, secondo il quale non ci fu guerra tanto «malvagia» quanto quella mossa dagli Stati Uniti contro il Messico, che portò alla conquista dell’attuale regione comprendente la California e il Sudovest del paese. Grant, che combatté in quella guerra come sottoufficiale, dichiarò in seguito di provare vergogna per non aver avuto il coraggio morale di dare le dimissioni e per aver invece preso parte a quel crimine.

La subordinazione all’ortodossia dominante ha le sue conseguenze. Il messaggio non tanto tacito è che combattiamo solo guerre intelligenti, senza errori e che raggiungano i loro obiettivi, quando in realtà sono guerre «malvage», crimini orribili. Gli esempi sono troppi per enumerarli. In alcuni casi, come il crimine del secolo, questa prassi è seguita quasi senza eccezione nelle cerchie rispettabili.

Un altro aspetto tipico della subordinazione all’ortodossia è la demonizzazione del nemico ufficiale. Per fare un esempio a caso, prendiamo l’edizione del «New York Times» che ho davanti a me proprio in questo momento: uno stimato giornalista economico mette in guardia dal populismo di Hugo Chávez che, dopo la sua elezione a fine anni Novanta, «ha contrastato qualunque istituzione democratica gli si mettesse di traverso».

Ma se osserviamo la realtà dei fatti ci rendiamo conto che è stato il governo statunitense, con l’appoggio entusiastico del «New York Times», ad aver dato pieno supporto al golpe militare che ha deposto per breve tempo il governo Chávez prima di essere annullato dalla sollevazione popolare.



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